La terna dei finalisti – Edizione 2011
19 Aprile 2011Incontri con l’autore
16 Giugno 2011Notizie sull’autore e sull’opera
Marco Malvaldi con “Odore di chiuso”
Giorgio Ficara con “Riviera”
Valentino Zeichen con “Aforismi d’autunno”
Marco Malvaldi (Pisa, 1974) ha pubblicato con questa casa editrice i tre romanzi della serie dei vecchietti del BarLume: La briscola in cinque (2007), Il gioco delle tre carte (2008) e Il re dei giochi (2010), e inoltre Odore di chiuso (2011).
In un castello della Maremma toscana vicino alla Bolgheri di Giosue Carducci, arriva un venerdì di giugno del 1895 l’ingombrante e baffuto Pellegrino Artusi. Lo precede la fama del suo celebre La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, il brioso e colto manuale di cucina, primo del genere, con cui ha inventato la tradizione gastronomica italiana. Ma quella di gran cuoco è una notorietà che non gli giova del tutto al castello, dove dimora la famiglia del barone Romualdo Bonaiuti, gruppo tenacemente dedito al nulla. La formano i due figli maschi, Gaddo, dilettante poeta che spera sempre di incontrare Carducci, e Lapo, cacciatore di servette e contadine; la figlia Cecilia, di talento ma piegata a occupazioni donnesche; la vecchia baronessa Speranza che vigila su tutto dalla sua sedia a rotelle; la dama di compagnia che vorrebbe solo essere invisibile, e le due cugine zitelle. In più, la numerosa servitù, su cui spiccano la geniale cuoca, il maggiordomo Teodoro, e l’altera e procace cameriera Agatina. Contemporaneamente al cuoco letterato è giunto al castello il signor Ciceri, un fotografo: cosa sia venuto a fare al castello non è ben chiaro, come in verità anche l’Artusi. In questo umano e un po’ sospetto entourage, piomba gelido il delitto. Teodoro è trovato avvelenato e poco dopo una schioppettata ferisce gravemente il barone Romualdo. I sospetti seguono la strada più semplice, verso la povera Agatina. Sarà Pellegrino Artusi, grazie alla sua saggezza e alle sue originali letture, a dare al delegato di polizia le dritte per ritrovare la pista giusta.
In Odore di chiuso Malvaldi ha lasciato al momento l’improvvisata squadra investigativa dei vecchietti del BarLume per potersi dedicare a un vero giallo classico, basato su interrogatori, intuizioni e conclusioni deduttive. Ha scelto l’epoca di un’Italia da poco unificata e ancora impastoiata nei particolarismi nobiliari con riferimenti storico letterari che occhieggiano ironicamente all’oggi. Ma senza abbandonare la sottigliezza umana che gli permette di disegnare ogni personaggio con insolente umorismo, offrendo gallerie di caratteri e situazioni comiche capaci di divertire tanto quanto l’ingegnosità dell’intreccio..
Giorgio Ficara (Torino, 1952) è professore ordinario di Letteratura italiana all’Università di Torino. Ha insegnato negli Stati Uniti alla Stanford University, alla UCLA e alla University of Chicago; a Parigi alla Sorbona. Tra i suoi libri: Solitudini. Studi sulla letteratura italiana dal Duecento al Novecento (Garzanti, 1993); Il punto di vista della natura. Saggio su Leopardi (Il Melangolo, 1996), Stile Novecento (Marsilio, 2007) e per Einaudi Casanova e la malinconia (Saggi, 1999) e Riviera (Frontiere, 2010). Ha vinto nel 1984 il Premio per la Saggistica dell’Accademia Nazionale dei Lincei e nel 2010 il Premio Cardarelli per la Critica Letteraria. Collabora a «La Stampa». È direttore della Fondazione De Sanctis.
Ogni viaggiatore fugge segretamente dall’angoscia di essere colui che attraversa il mondo senza conoscere nessun luogo. Ogni viaggiatore lo sa. I luoghi sono profondi. Se non ne conosci le storie, le parole e le cose, le storie annidate dentro le cose e le parole, stai solo calpestando un suolo.
La Riviera che trovi in queste pagine è un viaggio più nel tempo che nello spazio. Dalle sue profondità arrivano fino a te che leggi Portofino, dall’epoca di Landless John a quella di Rita Hayworth, e Bordighera, Rapallo, dai giorni di Ezra Pound a quelli di Marcello Mastroianni, e la Genova dei Doria e dei marinai senza nome, Camogli, i caruggi e Portovenere, i leudi, che possono arrivare fino a Buenos Aires, i gozzi che scintillano – gialli, celesti, bianchi, verdemare – al sole, le case, le finestre e i capitani, che abbandonavano la paura appena levate le ancore e che sapevano uscire da ogni mare. E la buridda di pesce, il vermentino, il macramé, il camallo e il bacàn, parole e cose che nel tempo non hanno esitato ad attraversare l’oceano per suonare differenti eppure uguali anche agli antipodi.
Accanto a cose, luoghi e parole ti trovi dentro alla storia del Saraceno, che viveva con i figli e i soldati in una torre a picco sul mare, a quella della bellissima polena naufraga al largo delle Azzorre, o a quella del Cristo miracoloso di Varazze. Ciò che ti porta su questa via lungo l’acqua, luogo circoscritto e a un tempo universale, non è mai nostalgia, non è in alcun modo un dolore del ritorno, ma al contrario la ricerca di un senso essenziale dell’esistere che l’autore insegue nelle storie del mondo sul filo di una scrittura avventurosa ed esatta. Sette milioni di anni fa, racconta Giorgio Ficara, migrando dall’Africa sul fondo di un Mediterraneo ancora senz’acqua, sono arrivati sul monte di Portofino i convolvoli rosa che ora ci sembrano così nostri. Come dire, se sei di queste parti, trovi te stesso solo se ti riconosci fatto di lontananze.
Valentino Zeichen è nato a Fiume e vive a Roma. Nel 2004 è uscita per gli Oscar Mondadori la raccolta completa dei suoi versi: Poesie (1963-2003). Tra i suoi altri libri: Area di rigore (Cooperativa scrittori 1971), Museo interiore (Guanda 1987), Gibilterra (Mondadori 1991), Metafisica tascabile (Mondadori 1998). È unanimemente considerato uno dei maggiori poeti italiani contemporanei.
Con questo libro, Valentino Zeichen sperimenta un genere nuovo, interamente formato da sostanza e pensiero, e da lui stesso definito “intelligente”. Composto pensando ai cambi di colore della natura in autunno, a metafora di una condizione esistenziale, alla profondità di un Karl Kraus unisce l’eleganza di un Oscar Wilde nonché la raffinata leggerezza di Ennio Flaiano: questi, infatti, i principali modelli di riferimento per la raccolta nonché maestri nell’arte di scrivere aforismi, forma per eccellenza di “intelligenza organizzata”. Zeichen qui, ragionando unicamente di ciò in cui crede, e di ciò che pensa, arriva a un concentrato di parole che appaiono rimescolate in base a una chimica sofisticata che coinvolge prima di tutto la lingua: icastica, spesso oscura, talvolta più limpida, che ogni volta si esprime lasciando fuori i sentimenti. Il risultato è una sorta di autoritratto intellettuale in cui è esplicitato il punto di vista dell’autore su temi quali il tempo come inganno, la letteratura come ispirazione, l’inevitabile passaggio delle stagioni. Tante le citazioni presenti fra le pagine e tanta l’autoironia per un’opera caratterizzata da uno stile improntato alla concisione e all’arguzia. Con questo libro, Valentino Zeichen dà prova di grande eclettismo: accanto a testi brevi, composti in un periodo precedente, ci sono testi più lunghi, altri persino narrativi per un piccolo compendio di poetica saggezza.