Cerimonia di premiazione della 48^ edizione del Premio Letterario Internazionale Isola d’Elba
14 Settembre 2020Il Tirreno – 11 settembre 2020
14 Settembre 2020La Giuria Letteraria con questa motivazione assegna il premio a Roberto Andò
12 settembre 2020 – Giuria Letteraria
Il romanzo di Roberto Andò è una delle sorprese narrative più gratificanti dell’anno letterario in corso. Forte, tenero, compatto, teso, tesissimo, come un thriller d’azione, ma anche di pensiero e sentimento, con insolite partiture emotive, nei momenti capitali della storia, Il bambino nascosto, punteggiato e come guidato dalla poesia di Konstantinos Kavafis (Itaca e oltre), porta in scena una Napoli, che è una città-mondo, un’infera babele, avvolta da una ragnatela di enigmi e delazioni, assoggettata a una criminalità che, tra vera camorra e fiction camorristiche, ormai l’ha penetrata e infusa in ogni organo. Napoli è il cuore malato nel corpo di ogni piccola e grande storia di umanità. Irredimibile. A Napoli, in questa Napoli, sono i malviventi che conducono le indagini. È il diavolo che ascolta le confessioni al di là della grata, in una geografia tutta sconsacrata, dove l’antro della Sibilla cumana è diventato il luogo di ricettazione delle armerie dei clan. Senza più un’oncia di folclore, oscurato anche il sole, mito del male, Napoli, la tremenda protagonista, si è rasciugata in se stessa – cosa loro – fatta propria da un’organizzazione tentacolare e, duole dirlo, invincibile.
In quello spazio urbano, permeato dai veleni dell’assassinio e della morte, presidiato e vigilato da una cancrena umana che si è inserita in ogni ganglio, e controlla ubiqua e onnipotente la vita degli altri, collusi o no che siano, si apre solo un luogo di grande umanità e di vera cultura, in quell’inferno, c’è soltanto l’appartamento a Forcella del maestro di piano Gabriele Santoro, raffinato intellettuale, figlio di un filosofo e fratello di un magistrato, a garantire un’accoglienza tanto generosa da apparire ed essere in effetti suicida, e una possibile via di fuga, un riscatto, alla fine. In essa trova rifugio in un istante di tempo, entro un intervallo strano e miracoloso, Ciro, già piccolo delinquente ricercato dal clan, il figlio di una famiglia camorrista che vive nello stesso casamento, governato dal boss di quartiere De Vivo, e vi troverà salvezza. Quindici giorni di vita in comune fra due esseri lontanissimi per ceto e civiltà basteranno alla loro comunione.
La qualità della prosa, il ritmo delle sequenze, la netta caratterizzazione dei personaggi, il virtuosismo linguistico dell’italiano che si alterna al dialetto, la profonda poeticità dell’assunto – perdizione e salvezza, misericordia e giustizia – la destrezza coraggiosa dello sguardo, mai convenzionale né curiosamente cronistico sulla realtà ambientale dell’Urbe Partenope, sono tutti elementi che trascendono la vicenda in sé, sollevandola a itinerario e simbolo di salvazione e rinascita, nel cuore di un mondo che sembra non dare scampo. Qui l’accudimento della cultura è accudimento di umanità, amore per un’infanzia rubata, rea e innocente a un tempo, in una città che è, nel suo male e nel suo bene, la protagonista della scena letteraria italiana.